de/di José A. Ramírez Lozano
(tard. Marcela Filippi)
Más allá de las viñas, donde Corambo deja
su condición feraz para dar paso al yermo
ruin de la Mandrágora, Icasio,el santo, ayuna
disputándole el sitio al cuervo y al lagarto.
Turbio de soledad, al mundo tan ajeno
que apenas me conoce siendo su soberano.
–Dime quién eres, dame –me inquiere con su dedo–
tu nombre de una vez para que pueda amarte
con mi voz, como aman a Dios sus criaturas.
–No te daré mi nombre. Soy tu try, eso basta.
Dios, si te ha dado el suyo, fue sólo porque vive
de la misericordia de aquellos que lo invocan.
Yo no tengo otra cosa que palabras. Corambo
es mi obra. Yo vivo tan sólo de nombrar
mientras, mudo, tu Dios aguarda que lo nombres.
–¿Y cómo siendo tú tan soberbio no admites
que te llame, si el nombre ha sido la raíz
de ese vicio tan viejo con el que te coronas?
–Ni la piedad consiendo ni la humildad tampoco.
Que sepas bien, Icasio, que la palabra sólo
se debe a la victoria y que yo nunca doy
la mía porque nadie pueda así someterme.
–¿Es Dios por eso acaso un hombre sometido?
–Dios nunca se entregó. Dios vive de no estar
donde lo buscan todos, repartido, innombrable
de tan añicos, huésped siempre mudo en su himno
que lo celebra y hace latir en vano el débil
corazón de los fieles con su misericordia.
Yo no diré mi nombre jamás a mi enemigo.
Yo no quiero que un ángel rebelde me traicione
y arrebate mi luz. Debes saber tan sólo
las sílabas precisas de mi reino, Corambo.
Repíyelas, Icasio, y habitarás su lumbre.
–De ninguna manera. Yo no me debo a otro
reino que el de Dios Padre y no espero otro amparo
que aquel de su infinita piedad tan redentora.
–Él no te nombrará. Él nunca te nombró
como yo ahora te nombro, Icasio, para darte
consistencia de vida, razón a tu impostura.
Vivirás mientras digas y, a cambio, no tendrás
que invocarme. He sellado mi nombre para siempre.
He mandado también derribarles los templos
a los desheredados para no darle así
ocasión a esa indigna virtud de la piedad.
Vivirás mientras digas. La palabra es el reino.
–Dios está más allá de las palabras, vive
de su ausencia y nos habla callando al corazón.
–Desprecias la palabra, Icasio, porque es ella
quien castiga la amarga soledad de este yermo.
Tu renuncia del mundo no es más que la impotencia
de tu odio por él. Sin embargo, tú sabes
que sólo la palabra le da forma a la vida
y de no ser por ella ni siquiera ese Dios
sustantivo que amas se tendría se tendría en su esencia.
Te arrojaré de ti si reniegas del nombre
del que vives, herencia única en que te tienes.
Eres porque te llamo y a mi sometimiento
debes tú la gozosa sucesión de tus días.
Te arrojaré de ti, te vaciaré del nombre
que tanto te contuvo para darte a la nada.
Un verso te concedo, un verso sólo, Icasio,
para que te arrepientas y vuelvas sobre ti.
Si no, será la nada terrible del papel
en blanco quien acabe con la que fue tu vida.
–No le temo a nada. Mátame ya de ausencia.
–Tú lo quisiste, Icasio. Este último verso
será el filo que rompa la vena tan oscura
de tu caligrafía. Al fin y al cabo tú
–¡oh pasión de la voz, edad de mi escritura!–
no fuiste más que otra palabra del poema.
Al di là delle vigne, dove Corambo lascia
la sua fertile condizione per far posto al deserto
spregevole della Mandragora, Icasio, il santo, digiuna
rivendicando il posto del corvo e della lucertola.
Torbido di solitudine, il mondo tanto alienato
che a malapena mi conosce essendo io il suo sovrano.
–Dimmi chi sei, dammi –mi intima col suo dito–
il tuo nome in definitiva affinché possa amarti
con la mia voce, così come amano Dio le sue creature.
–Non ti darò il mio nome. Sono il tuo re, ciò basta.
Dio, se ti ha dato il suo, è stato solo perché vive
della misericordia di chi lo invoca.
Io non ho altro che parole. Corambo
è la mia opera. Io vivo solo per nominare
mentre, muto, il tuo Dio attende che tu lo nomini.
–E come mai essendo tu così superbo non ammetti
che ti chiami, se il nome è stato la radice
di quel vizio tanto vecchio con cui ti incoroni?
–La pietà non acconsento, né l'umiltà nemmeno.
Sappi bene, Icasio, che la parola solo
si deve alla vittoria e che io non do mai
la mia affinché nessuno possa sottomettermi.
- È forse per questo Dio un uomo sottomesso?
–Dio non ha mai ceduto. Dio vive del non essere
dove lo cercano tutti, distribuito, innominabile
perché di tanti pezzi, ospite sempre silenzioso nel suo inno
che lo celebra e fa palpitare in vano il debole
cuore dei fedeli con la sua misericordia.
Io non dirò mai il mio nome al mio nemico.
Non voglio che un angelo ribelle mi tradisca
e mi strappi la luce. Deve solo conoscere
le sillabe precise del mio regno, Corambo.
Ripetile, Icasio, e abiterai la sua luce.
-In nessun modo. Io non mi lego ad altro
regno che quello di Dio Padre e non aspetto altra protezione
che quella della sua infinita pietà così redentrice.
–Egli non ti nominerà. Egli non ti ha mai nominato
come ora io ti nomino, Icasio, per darti
consistenza di vita, ragione alla tua impostura.
Vivrai finché dirai e, in cambio, non dovrai
invocarmi. Ho sigillato il mio nome per sempre.
Ho anche ordinato di distruggere i templi
ai diseredati per così non offrire
occasione a quella indegna virtù della pietà.
Vivrai finché dirai. La parola è il regno.
–Dio è al di là delle parole, vive
della sua assenza e ci parla tacitando il cuore.
–Disprezzi la parola, Icasio, perché è lei
che punisce l'amara solitudine di questo deserto.
La tua rinuncia al mondo non è altro che l'impotenza
del tuo odio per esso. Tuttavia, tu sai
che solo la parola dà forma alla vita
e se non fosse per lei nemmeno quel Dio
sostantivo che ami lo si avrebbe nella sua essenza.
Ti espellerò da te se rinneghi il nome
di cui vivi, eredità unica in cui ti reggi.
Sei perché ti chiamo e alla mia sottomissione
devi la gioiosa successione dei tuoi giorni.
Ti espellerò da te, ti svuoterò dal nome
che ti ha contenuto tanto per offrirti al nulla.
Ti concedo un verso, un verso solo, Icasio,
affinché tu ti penta e torni a te stesso.
Altrimenti, sarà il terribile nulla del foglio
in bianco che finirà con quella che fu la tua vita.
-Non temo il nulla. Uccidimi già d'assenza.
–Lo hai voluto tu, Icasio. Quest'ultimo verso
sarà il filo che spezzerà la tanto oscura vena
della tua calligrafia. In fin dei conti tu
–Oh passione della voce, età della mia scrittura! -
non sei stata che un'altra parola della poesia.
(de Corambo. XII Premio De Poesía Ciudad De Mérida. DVD Ediciones. Barcelona 2007)
Detalles para el lector:
Corambo es el nombre inicial, la sucesión de los nombres, que va creando y abriendo el lugar del poema, ese ámbito privilegiado en el que vive el espíritu creativo en toda su plenitud y su libertad. Épica de la palabra creadora, de los asedios a los que se ve sometida y de absoluta necesidad para la conciencia humana en cualquier tiempo.
Dettagli per il lettore:
Corambo è il nome iniziale, la successione dei nomi, che crea e apre il luogo della poesia, quell'ambito privilegiato in cui vive lo spirito creativo in tutta la sua pienezza e libertà. Epica della parola creatrice, degli assedi a cui questa è sottoposta , e di assoluta necessità per la coscienza umana in ogni tempo.
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