martedì 19 maggio 2020

ORRORE/HORROR

de/di Valerio Magrelli
(trad. Marcela Filippi)
Ecco l'errore:
immaginare che la soluzione risieda
nel mistero della verticalità,
nel cuore delle acque su cui rimbalza il sasso.
Invece non c'è nulla nel profondo,
non esiste una terza dimensione:
tutto si gioca sullo stesso piano,
anzi, nella medesima figura!
Basta solo guardarla in un modo diverso.
Flatlandia.
Io parlerei di inconscio complanare,
che nel mio caso fu un complanare orrore.
Aquí está el error:
imaginar que la solución reside
en el misterio de la verticalidad,
en el corazón de las aguas donde rebota la piedra.
En cambio, no hay nada en el fondo,
no existe una tercera dimensión:
todo se juega en el mismo nivel,
más bien, ¡en la misma figura!
Basta solo mirarla de un modo diferente.
Flatlandia.
Yo hablaría de subconsciente coplanario,
que en mi caso fue un coplanario horror.
(Le cavie, Einaudi poesia, 2018)

lunedì 18 maggio 2020

INDIFFERENZA/INDIFERENCIA

de/di Valerio Magrelli
(trad. Marcela Filippi)
Trovando appena un angolino libero nella loro coscienza
F.R.De Chateaubriand
Sono arrivato ad una conclusione:
il Male ha bisogno di spazio,
non si può fare tutto dentro casa.
Serve una dépendance, un alias, un sosia
almeno una meta-me
(la mamma-mummia di Psyco).
Serve la lepre, la bestia da delega,
un capro espiatorio portatile
che possa tollerare il peso del reato.
E' soltanto un problema di capienza:
trovare spazio per l'indifferenza.
Encontrando apenas un rincón libre en sus conciencias
F. R. De Chateaubriand
He llegado a una conclusión:
el Mal necesita espacio,
no se puede hacer todo dentro de la casa.
Sirve una dépendance, un alias, un sosias
al menos un meta-yo
(la mamá-momia en Psicosis).
Sirve la liebre, la bestia por delegación,
un chivo expiatorio portátil
que pueda tolerar la carga del crimen.
Es solo un problema de capacidad:
encontrar espacio para la indiferencia.


(Le cavie, Einaudi Poesia,2018)

domenica 17 maggio 2020

LA POESÍA/LA POESIA

de/di Eugenio Montejo
(trad. Marcela Filippi)
La poesía cruza la tierra sola,
apoya su voz en el dolor del mundo
y nada pide
ni siquiera palabras.
Llega de lejos y sin hora, nunca avisa;
tiene la llave de la puerta.
Al entrar siempre se detiene a mirarnos.
Después abre su mano y nos entrega
una flor o un guijarro, algo secreto,
pero tan intenso que el corazón palpita
demasiado veloz. Y despertamos.
La poesia attraversa la terra da sola,
appoggia la sua voce nel dolore del mondo
e nulla chiede
nemmeno parole.
Giunge da lontano e senza orario, non avvisa mai;
ha la chiave della porta.
Quando entra si ferma sempre a guardarci.
Poi apre la sua mano e ci consegna
un fiore o un sassolino, qualcosa di segreto,
ma così intenso che il cuore palpita
troppo veloce. E ci svegliamo.

NOCTURNO EN EL BOSQUE/NOTTURNO NEL BOSCO

de/di Santos Domínguez Ramos
(trad. Marcela Filippi)
Como en el limo late invisible lo oscuro,
o como las raíces del anfibio que el alba
se alzará desde la honda materia de su origen,
un conjuro en la noche febril del mensajero
convoca los secretos de un bosque impenetrable.
Confusa es la canción de hielo y pedernales
que entonan en su elipse sin tiempo los planetas;
confuso el corazón secreto en donde sueña
la sístole del viento en las ramas de olivo,
la inaplacable sed de las mareas.
Così come nel limo palpita invisibile l’oscuro,
o come le radici dell'anfibio che all'alba
si alzerà dalla profonda materia della sua origine,
un sortilegio nella notte febbrile del messaggero
convoca i segreti di un bosco impenetrabile.
Confusa è la canzone di gelo e selci
che i pianeti intonano nella loro ellisse senza tempo;
confuso il cuore segreto dove sogna
la sistole del vento nei rami d’ulivo,
l’implacabile sete delle maree.
(del libro Para explicar la nieve. Colección de poesía Ángaro. Sevilla 2009)

GÜIGÜE 1918

de/di Eugenio Montejo
(Trad. Marcela Filippi)
Esta es la tierra de los míos, que duermen, que no
duermen,
largo valle de cañas frente a un lago,
con campanas cubiertas de siglos y polvo
que repiten de noche los gallos fantasmas.
Estoy a veinte años de mi vida,
no voy a nacer ahora que hay peste en el pueblo,
las carretas se cargan de cuerpos y parten,
son pocas las zanjas abiertas,
las campanas cansadas de doblar
bajan y cavan.
Puedo aguardar, voy a nacer muy lejos de este lago,
de sus miasmas,
mi padre partirá con los que queden,
lo esperaré más adelante.
Ahora soy esta luz que duerme, que no duerme,
atisbo por el hueco de los muros,
los caballos se atascan en fango y prosiguen,
miro la tinta que anota los nombres,
la caligrafía salvaje que imita los pastos.
La peste pasará, los libros en el tiempo amarillo
seguirán tras las hojas de los árboles.
Palpo el temblor de llamas en las velas
cuando las procesiones recorren las calles.
No he de nacer aquí,
hay cruces de zábila en las puertas que no quieren que nazca,
queda mucho dolor en las casas de barro.
Puedo aguardar, estoy a veinte años de mi vida,
soy el futuro que duerme, que no duerme,
la peste me privará de voces que son mías,
tendré que reinventar cada ademán, cada palabra.
Ahora soy esta luz al fondo de sus ojos,
ya naceré después, llevo escrita mi fecha,
estoy aquí con ellos hasta que se despidan,
sin que puedan mirarme me detengo:
quiero cerrarles suavemente los párpados.
Questa è la terra dei miei, che dormono, che non
dormono
lunga valle di canne di fronte a un lago,
con campane coperte da secoli e polvere
che i galli fantasma ripetono di notte.
Sono a vent’anni dalla mia vita,
non nascerò ora che c'è peste nel villaggio,
le carrette sono caricate da corpi e partono,
sono poche le fosse aperte,
le campane stanche di suonare
scendono e scavano.
Posso attendere, nascerò molto lontano da questo lago,
dai suoi miasmi,
mio padre partirà con quelli che rimarranno,
lo aspetterò più avanti.
Ora sono questa luce che dorme, che non dorme,
scorgo attraverso la cavità dei muri,
i cavalli si incagliano nel fango e proseguono,
guardo l'inchiostro che annota i nomi,
la calligrafia selvaggia che imita l’erba.
La peste passerà, i libri nel tempo giallo
seguiranno dietro le foglie degli alberi.
Sento il tremolio di fiamme nei ceri
quando le processioni percorrono le strade.
Non dovrò nascere qui,
ci sono croci di aloe sulle porte che non vogliono che
io nasca,
molto dolore rimane nelle case di fango.
Posso attendere, sono a vent’anni dalla mia vita,
sono il futuro che dorme, che non dorme,
la peste mi priverà di voci che sono mie,
dovrò reinventare ogni gesto, ogni parola.
Ora sono questa luce in fondo ai loro occhi,
nascerò dopo, porto scritta la mia data,
sono qui con loro fino a quando si congederanno,
senza che possano guardarmi mi fermo:
voglio loro chiudere delicatamente le palpebre.
Alcune delucidazioni sulla poesia GÜIGÜE 1918:
GÜIGÜE nel 1918 era un paesino, oggi cittadina, dello stato di Carabobo della provincia venezuelana, la cui capitale è Valencia, città molto importante del centro nord del Venezuela, dove è cresciuto Eugenio Montejo.
Nel  titolo della poesia, 1918, sta ad indicare la terribile influenza spagnola.
Nel 1918 si formano in Venezuela, a Caracas anche dei gruppi letterari e artistici molto importanti che daranno origine a una generazione letteraria che prenderà il nome Generazione del '18, della quale farà parte Fernando Paz Castillo, uno dei grandi poeti venezuelani del XX sec., José Antonio Ramos Sucre e altri. Ma il referente di questa poesia di Montejo non è letterario, bensì l'influenza spagnola.
La poesia:
GÜIGÜE è la terra degli antenati del poeta che provenivano dalle isole Canarie e arrivarono lì per coltivare la terra. Questo intende Montejo quando dice in un verso questa è la terra dei miei. Molti erano morti, altri erano vivi in quella data, e lottavano contro l'influenza spagnola. C'è il passato e il presente, di quell'anno.
Montejo descrive le coltivazioni di canne da zucchero davanti a un lago che forma parte del paesaggio. E' il lago di Valencia che attraversa moltissimi villaggi e città. E' il secondo lago del Venezuela. Poi cita le campane di GÜIGÜE, molto antiche, portate da un sacerdote spagnolo nel XVI o XVII sec.
La voce che parla nella poesia è quella del poeta che si sdoppia. Ritorna al passato dei suoi antenati. Dà vita alla loro e alla propria memoria, non nascerò ora che c'è peste nel villaggi. C'è poi la descrizione della distruzione causata dalla peste. Le carrette erano i carri funebri ricoperti di corpi. Le campane stanche di suonare a morte sono le immagini di un tempo da lui mai vissuto. Il poeta che nascerà vent'anni dopo, cioè nel 1938 a Caracas, entra nella poesia e racconta la sua famiglia, come se lui fosse presente. Montejo gioca col tempo e nel tempo, ne inventa uno in cui lui può incontrare chi non ha mai potuto conoscere, perché la spagnola li aveva portati via prima che nascesse. Si serve dello strumento della poesia per vivere la storia dei suoi antenati.
P.S.:le spiegazioni, così come ho scritto sopra, mi sono state fornite dal Prof. Freddy Castillo Castellanos



AÚN CAE EL INVIERNO/L’INVERNO CADE ANCORA

de/di Ana María Del Re Guinand
(trad. Marcela Filippi)
Aún cae el invierno
sobre la aldea desierta
en la noche de marzo
Tiemblan los pinos
Un pájaro tirita
bajo el alero
sin saber que está herido
¿Y nosotros, hijos míos,
tan solos entre la nieve
y casi sin abrigo?

L'inverno cade ancora
sopra il deserto villaggio
nella notte di marzo
Tremano i pini
Un uccello trema
sotto la grondaia
non sapendo di essere ferito
E noi, figli miei,
così soli nella neve
e quasi senza protezione?
(de La noche todavía, bid & co. editor 2007)

martedì 12 maggio 2020

RESPIRACIÓN DE LA TARDE/RESPIRAZIONE DELLA SERA

de/di Santos Domínguez Ramos
(trad. Marcela Filippi)