de/di María Ángeles Pérez López
(trad. Marcela Filippi)
El hombre que hemos sido en el pasado
se acerca lentamente y nos saluda
como quien ve de pronto a un conocido
borroso y desprendido entre la niebla.
Como quien mira a otro y se incomoda
por el salto infinito de la especie
que trae la semejanja y el contraste,
el hueso y su cartílago amoroso,
la oreja, el peine manso y acabado,
el sexo y su ventura, los pulmones
comunes en sus zonas cavernosas,
el mismo corazón y su perenne
afán de traslación sobre la tierra
para llevar el peso de la sangre
hasta la conquistada vertical.
También cada perfil, su discrepancia.
El hombre que hemos sido en el pasado
se acerca y nos saluda en su indolencia
confunde aniversarios y dolores,
reclama lo que no hay desde hace mucho,
escucha y llora en su cansancio tosco,
paladea palabras muy remotas:
la ira, la inocencia, el desconcierto,
el mar, sus caracolas encendidas,
el frío, el tiempo lento, la alborada
y su conquista ruin, imrescindible
como una gota clara de placer.
Y cuando va a marcharse pesaroso
repite un gesto antiguo y su señal,
un modo estremecido de mover
el aire y de apartarlo con ternura
que me hace recordarlo, recordarme,
un súbito aleteo en el que el tiempo
tiembla y desaparece calcinado,
vienen a ser como un cuerpo no visible,
un modo de enconrìtrarnos sin caer,
un ¡qué más da! y su abrazo sostenido
por la copa febril de la alegría.
L'uomo che siamo stati nel passato
si avvicina lentamente e ci saluta
come chi all'improvviso vede un conoscente
sfocato e staccato tra la nebbia.
Come chi guarda un altro e si sente a disagio
per il salto infinito della specie
che porta la somiglianza e il contrasto,
l'osso e la sua cartilagine amorosa,
l'orecchio, il pettine docile e consumato,
il sesso e la sua letizia, i polmoni
comuni nelle loro zone cavernose,
lo stesso cuore e il suo perenne
affanno di traslazione sulla terra
per portare il peso del sangue
fino alla conquista verticale.
Inoltre ogni profilo, la sua discrepanza.
L'uomo che siamo stati in passato
si avvicina e ci saluta nella sua indolenza
confonde anniversari e dolori,
reclama ciò che non c'è da molto tempo,
ascolta e piange nella sua rozza stanchezza
assapora parole molto remote:
l'ira, l'innocenza, lo smarrimento,
il mare, le sue conchiglie accese,
il freddo, il tempo lento, l'albeggiare
e la sua vile conquista, imprescindibile
come una goccia chiara di piacere.
E quando se ne sta per andare afflitto
ripete un antico gesto e il suo segnale,
un modo esitante di muovere
l'aria e di respingerla con tenerezza
che me lo fa ricordare, ricordami,
un improvviso fremito in cui il tempo
trema e scompare incenerito,
diventa una sorta di corpo non visibile,
un modo per ritrovarci senza cadere,
un, che differenza fa! e il suo abbraccio sostenuto
dal calice febbrile della gioia.
(de Catorce vida y una más. Poesía reunida 1995-2012. Diputación de Salamanca, 2020)
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