de/di Mario Míguez
(trad. Marcela Filippi)
De nada sirve ahora preguntarse
por qué siempre es de noche en esta isla,
y vano es indagar el terrible misterio
de ese mar que no puede verse nunca.
Ahora sólo sé que he perdido tu luz,
la luz que me confiaste,
la luz que me encargaste guardar aquí en la torre
y proteger a riesgo de mi muerte,
la luz que no era mía,
sino señal para otros perdidos en lo oscuro
que anhelantes la esperan.
Pues descuidé avivarla, se ha apagado.
No tengo ya con qué alumbrar la noche.
Mi fuego nada puede sin el tuyo.
Ahora sólo soy
el inútil vigía de este faro vacío,
y el miedo me atenaza,
y el miedo va mudándose
en terror indecible,
pues no hay luna ni estrellas, sólo niebla,
la lenta niebla cruel que derrota a mi fuego,
que ya lo ha derrotado;
lo siento en mi interior: la llama está vencida,
no tardará en morir la débil brasa.
Si no regresas nunca
poco a poco yo mismo seré niebla.
Acepté la tarea libremente,
mas con doblez oculta te engañaba:
rechacé la renuncia de mí mismo
y no quise que fuera inevitable,
sin reservas, mi entrega.
Por eso no me absuelven torpeza o ignorancia
y por eso omisión, negligencia, me inculpan.
Al perderse la luz,
la luz irrepetible
que tú no puedes ya volver a darme,
pues aquel a quien llamas
sólo una única vez escucha que lo invitas,
quién sabe cuántas cosas se han perdido,
cuántas desconocidas ocasiones
de salvación para otros
ahora por mi causa
son nulas ya definitivamente.
La razón me asegura que el perdón no es posible
y me dice que no regresarás,
pues tus ojos, que ven en las tinieblas,
tus ojos que no saben de distancias,
ya saben mi traición,
ya han visto cómo ha muerto tu luz en esta isla,
y para mi castigo
bastará el abandono al propio pánico,
a este irme disolviendo entre las sombras.
Pero a veces, cuando calla mi angustia,
atento, ávido, escucho
a ese pequeño hermano del silencio,
el rumor de las olas, sosegado y muy tenue,
y siento que en él late,
contra toda esperanza, la esperanza.
¿No es vano siempre todo mi querer y mi hacer,
con traición o sin ella,
y por eso quizás mi ruina estuvo
ya prevista en tu encargo?
¿No quisiste quizás abandonarme
a mi propio actuar, a mi deseo,
que al cabo es siempre sólo, en absurdo desorden,
sordera, ceguedad y desesperación,
para que te esperara?
¿No debían morir mis posibilidades
para que únicamente quedara en pie la tuya?
¿No es aquí, donde estoy por completo acabado,
el punto en que por fin
comienzo de verdad en la verdad?…
Sólo queda esperarte, un esperarte
que rechaza el esfuerzo y que rechaza el cálculo.
Sólo queda guardar la calma y esperarte.
Esperarte con la espera más pura.
Esperarte en el más puro esperar.
Permanecer inmóvil, sabiéndome desnudo,
con las manos vacías, entregado
sin voz al devenir, sustrayéndome al tiempo,
y carecer de apoyo ajeno o propio,
pero a pesar de todo procurando sentirme
satisfecho y alegre en la carencia,
centrado en la esperanza,
sin querer ver ya nada entre las sombras,
ni siquiera esa imagen insistente,
esa imagen que debo desechar
pues contiene en su forma mi deseo,
esa imagen soñada
en la que tú te acercas en la noche absoluta
desde la lejanía, caminando
sobre el mar, con tu cuerpo de luz, a rescatarme
antes de que me funda con la niebla…
A nulla serve chiedersi ora
perché è sempre notte su quest'isola,
ed è vano indagare il terribile mistero
di quel mare che non si può mai vedere.
Ora so solo di aver perso la tua luce,
la luce che mi hai affidato,
la luce che mi hai incaricato di custodire qui nella torre
e di proteggere a rischio della mia morte,
la luce che non era mia,
ma un segnale per altri persi nel buio
che anelanti l'aspettavano.
Poiché ho trascurato di ravvivarla, si è spenta.
Non non ho più nulla con cui illuminare la notte.
Il mio fuoco nulla può senza il tuo.
Ora sono soltanto
l'inutile sentinella di questo faro vuoto,
e la paura mi attanaglia,
e la paura si sta trasformando
in un terrore indicibile,
perché non c'è luna né stelle, solo nebbia,
la lenta nebbia crudele che sconfigge il mio fuoco,
che lo ha già sconfitto;
lo sento dentro: la fiamma è vinta,
non tarderà a morire la debole brace.
Se non tornerai mai più,
poco a poco diventerò nebbia anch'io.
Ho accettato il compito liberamente,
ma con nascosta doppiezza ti ho ingannato:
ho rifiutato la rinuncia di me stesso
e non ho voluto che fosse inevitabile,
senza riserve, la mia dedizione.
Per ciò non mi assolvono goffaggine o ignoranza,
e per questo, omissione, negligenza mi incolpano.
Quando la luce si perse,
la luce irripetibile
che tu non puoi più ridarmi,
perché colui che chiami
ascolta il tuo invito una sola volta,
chissà quante cose sono andate perdute,
quante opportunità sconosciute
di salvezza per altri
ora a causa mia,
sono ormai definitivamente nulle.
La ragione mi assicura che il perdono non è possibile
e mi dice che non ritornerai,
perché i tuoi occhi, che vedono nelle tenebre,
i tuoi occhi che non conoscono distanze,
conoscono già il mio tradimento,
hanno già visto come la tua luce è morta su quest'isola,
e per mia punizione
basterà l'abbandono al mio stesso panico,
a questo dissolvermi nell'ombra.
Ma a volte, quando la mia angoscia tace,
attento, avido, ascolto
quel piccolo fratello del silenzio,
il rumore delle onde, calmo e molto tenue,
e sento che in esso palpita,
contro ogni speranza, la speranza.
Non è forse sempre vano tutto il mio volere e il mio fare,
con o senza tradimento,
e per questo forse la mia rovina era
già prevista nel tuo piano?
Non volevi forse abbandonarmi
alle mia propria azione, al mio desiderio,
che alla fine è sempre solo, in assurdo disordine,
sordità, cecità e disperazione,
affinché ti aspettassi?
Non dovevano morire le mie possibilità
affinché rimanesse in piedi soltanto la tua?
Non è qui, dove sono completamente finito,
il punto in cui finalmente
comincio davvero nella verità?...
Non resta che aspettarti, un'attenderti
che rifiuta sforzo e che rifiuta il calcolo.
Non resta che mantenere la calma e aspettarti.
Aspettarti con l'attesa più pura.
Aspettarti nella più pura attesa.
Rimanere immobile, sapendomi nudo,
con le mani vuote, abbandonato
senza voce al divenire, sottraendomi al tempo,
e privo di appoggio proprio e altrui,
ma, nonostante tutto, sforzandomi di sentirmi
soddisfatto e allegro nella carenza,
centrato sulla speranza,
non volendo più vedere nulla tra le ombre,
nemmeno quell'immagine insistente,
quell'immagine che devo respingere
perché contiene nella sua forma il mio desiderio,
quell'immagine sognata
in cui ti avvicini nella notte assoluta
dalla lontananza, camminando
sul mare, col tuo corpo di luce, per salvarmi
prima che mi fonda nella nebbia…
(De Pasos. Colección La Cruz Del Sur. Editorial Pre-Textos, 2006)
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