de/di Ana Montojo
(trad. Marcela Filippi)
Mi casa es un silencio de libros y recuerdos,
un teléfono mudo casi siempre,
la música que suena como fondo
de lo que no me atrevo ni a soñar.
Me dicen que la vida
se puede improvisar a cada instante,
pero si a una le atrapa
esta droga terrible de estar sola
y no sabe si llora por el tiempo pasado,
por lo poco que queda por vivir
o si es por esos versos
que acaba de leer y que le han puesto
a Dorian Gray delante de los ojos,
poco se puede hacer más que fumar
y esperar que anochezca
escribiendo el peor de los poemas.
El que hable de una casa grande y llena de niños,
que al volver del colegio preguntaban
está mamá, pidiendo la merienda.
Y mamá, casi siempre
estaba en la cocina, porque entonces
eso de escribir versos aún no entraba en sus planes.
Había que hacer la cena, mandarlos a la ducha,
revisar los deberes y pensar qué facturas
eran las más urgentes,
al tiempo que miraba de reojo
el rictus de tus labios,
o el ritmo que llevaban tus rodillas,
tratando de intuir tus pensamientos.
Y, al final de la noche, con un poco de culpa,
soñar en otra cosa.
Muchos años después
tantos que aquellos niños ya son padres,
menos el que será un niño para siempre-
mi casa se ha encogido
y se me está olvidando cocinar.
Mi casa se ha encogido
hasta el mínimo espacio imprescindible
para llamarse casa. Y ni siquiera es mía,
aunque eso no me apena
siempre será más leve mi equipaje.
Perdonad, no era esto, no era esto
lo que quise escribir, solo quería
tratar de comprender de dónde vienen
estas jodidas lágrimas.
Tan a destiempo ya, tan a destiempo.
La mia casa è un silenzio di libri e ricordi,
un telefono muto quasi sempre,
la musica in sottofondo
di quel che non oso nemmeno sognare.
Mi dicono che la vita
si può improvvisare in ogni istante,
ma se uno ne viene catturata
questa terribile droga di stare da sola
e non sa se piange per il tempo trascorso,
per quel poco che resta da vivere
o se è a causa di quei versi
che ha appena letto e che le hanno messo
Dorian Gray davanti agli occhi,
c'è poco altro che si possa fare se non fumare
e aspettare che cali la notte
per scrivere la peggiore delle poesie.
Quella che parli di una grande casa piena di bambini,
che al ritorno da scuola chiedevano
c'è mamma? chiedendo la merenda.
E la mamma, quasi sempre
era in cucina, perché allora
scrivere versi non faceva ancora parte dei suoi piani.
Bisognava preparare la cena, mandarli sotto la doccia,
controllare i compiti e pensare quali bollette
fossero le più urgenti,
mentre guardavo di traverso
la smorfia delle tue labbra,
o il ritmo che avevano le tue ginocchia,
cercando di intuire i tuoi pensieri.
E, alla fine della notte, con un po' di colpa,
sognare qualcos'altro.
Molti anni dopo
-tanti che quei bambini sono già genitori,
tranne quello che sarà un bambino per sempre-
la mia casa si è ristretta
e mi sto dimenticando di cucinare.
La mia casa si è ristretta
finanche il più piccolo spazio imprescindibile
per essere chiamara casa. E non è nemmeno mia,
anche se ciò non mi rattrista
il mio bagaglio sarà sempre più leggero.
Perdonate, non era questo, non era questo
ciò che volevo scrivere, volevo solo
cercare di capire da dove vengono
queste dannate lacrime.
Così fuori tempo ora, così fuori tempo.
(Inédito)
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