lunedì 22 febbraio 2021

Rafael Cadenas, Barquisimeto, Venezuela 1930.

Introduzione e analisi del Prof. Freddy Castillo Castellanos (Barquisimeto 27/03/1950-12/12/2020)


Sola./insicura,/perentoria parola,/casa senza inganni.//Per lei vorrei/la forza/degli alberi“. Quella breve poesia di Un’isola (1958) potrebbe servirci per collocare in Rafael Cadenas un primo legame con quella che più tardi sarebbe stata una sua costante: la limpidezza della scrittura.

Da Intemperie e Memoriale, editi lo stesso anno (1977), la poesia di Cadenas, dopo un silenzio editoriale di un decennio, inizia a transitare un cammino diverso. Fu, in realtà, l’ingresso del poeta in quella casa senza inganni che aveva denominato inUn’isola. Dietro rimaneva la torrenziale eloquenza de I quaderni dell’esilio (1960), ma non l’insegnamento di quel viaggio e, tantomeno, l’acuta e lucida introspezione delle sue False manovre (1966), del tutto estranea alle egocentriche ostentazioni di certa poesia che era solita stancare le pubblicazioni, così come fa oggi con le reti sociali. Si trattava di un cambiamento, sì, ma anche di una perseveranza etica. Non molto tempo fa, in un’intervista, Cadenas ha detto che la sua poesia proveniva dalla poesia stessa, per poi andare in direzione della temperanza.

Ana Nuño, nel magnifico prologo che scrisse per la prima antologia di Rafael Cadenas pubblicata in Spagna (Antologia, Visor, 2000), affermava che ne “I quaderni dell’esilio il poeta rimarcava meno la sua notorietà per bonificare un terreno previamente segnato da altre voci“, e ci invita a leggere quel leggendario libro di Cadenas come “il minuzioso, dettagliato rapporto di un viaggiatore che, prima di salpare e intraprendere un lungo viaggio fa una revisione di ciò che fino ad allora erano stati i suoi averi. “I quaderni” è da quel punto di vista, la messa in pratica del disegno eliotiano: “set my lands in order”

Seguendo il filo di Ana, potremmo dire che la voce poetica di Cadenas è stata anche una “terra conquistata all’aridità” (Memoriale). Da Intemperie, come dice nella poesia con la quale conclude il libro, il poeta cerca che ogni parola “rechi ciò che dice./ Che sia come la scossa che la sostiene“. Penso che ciò che appare nei versi di Un’isola, citati all’inizio di questa nota si è reso evidente nel testo precisato di Intemperie (Ars poetica) incluso nella breve selezione che leggerete qui.

Affermare che Rafael Cadenas è uno dei poeti viventi più importanti del Venezuela è ormai un luogo comune. E non per questa ragione smetterò di ripeterlo, soprattutto quando importanti premi internazionali, oltre a confermare ciò, ne estendono la validità di quella frase ad altre regioni del mondo. Così posso anche emendare l’enfasi (contraria, certamente, allo spirito del poeta) e dire, con orgoglio barquisimetano, che Cadenas è tra i più importanti poeti viventi della lingua spagnola.

A partire dal 2009, col Premio di Letteratura in Lingue Romanze, che assegna la Fiera Internazionale del Libro di Guadalajara (FIL, il principale appuntamento editoriale del mondo ispano), si ha dato inizio a quei meritati riconoscimenti che il “Lorca”, nel 2015, e il “Reina Sofia” nel (2018) non hanno fatto altro che ratificare. A questo dobbiamo aggiungere i vari studi e articoli che un numero crescente di critici e lettori hanno dedicato all’opera del venezuelano, in Spagna, in Messico e in altri paesi. Quindi, ora, è possibile leggere da Maria Fernanda Palacios, la nostra più grande saggista, le parole che condivido:

Prima era più semplice scrivere su Rafael Cadenas. Pochi sapevano, fuori dal Venezuela, chi fosse. Pochi conoscevano i suoi libri, e lo avevano ascoltato. Gira ancora la leggenda che il poeta non parli. Non è vera. Qui alcuni vorrebbero che fosse verità, o che parlasse di meno, perché oggi a Cadenas lo si legge e lo si ascolta anche fuori dai nostri confini…” e ciò che egli dice “fa contrasto” (M. F. Palacios, Cuadernos Hispanoamericanos Nro.780, giugno 2015).

Con la precedente citazione, non solo possiamo sottolineare quanto detto a proposito del meritato interesse che l’opera di Cadenas suscita fuori dal Venezuela, ma anche del carattere libero e civile di quella voce che contrasta con lo stridore e la sottomissione. Proviene da una coscienza pulita e da una profonda indagine intellettuale. Da non dimenticare che il poeta è anche un uomo di pensiero, così come lo rivela la poesia, i suoi saggi, i suoi aforismi, i suoi detti e annotazioni. Certamente tutta la sua opera (Messico, 2000 e Spagna, 2007) suggerisce una lettura di Cadenas, nella quale dialogano armoniosamente la sua poesia e la sua prosa, come se la seconda sorgesse dalla prima. O viceversa.

Nato a Barquisimeto nel 1930, Cadenas ha pubblicato le sue prime poesie quando aveva appena sedici anni. Raccolta sotto lo stesso titolo Canti iniziali (1946); quei testi ora sono una rarità. Oltre a non essere stati più rieditati, di solito, non appaiono nemmeno nella bibliografia nota dell’autore. La ristretta selezione che qui leggerete include un testo di quel libro quasi segreto. Crediamo che si tratti di un piccolo gioiello giovanile. Lo seguono Tu che cammini (Un’isola), Nomi Fallimento (False manovre), Ars poetica (Intemperie) e finalmente, La ricerca (Busta aperta, 2012).

Nell’ultima poesia della selezione, l’autore ci dice che, “…concluso il viaggio/abbiamo sentito che in noi/(…) era nata/un’altra tempra“. Già in Memoriale (1977), in un testo dal titolo Nel giardino dopo le devastazioni, l’alba aveva dato alla città del poeta quell’ “altra tempra“. Fortunatamente per i suoi lettori, con essa, Cadenas continua a scrivere la sua luminosa poesia. L’impeccabile traduzione di Marcela Filippi Plaza ci permette ora di apprezzarla in italiano.

*

Sola,/insegura,/ apremiante palabra,/ casa sin atavíos.// Para ella desearía/ la fuerza/ de los árboles”. Ese breve poema de Una isla (1958) podría servirnos para situar en Rafael Cadenas una temprana conexión con lo que habría de ser más tarde una constante suya: la limpidez de la escritura.

A partir de Intemperie y Memorial, editados el mismo año (1977), la poesía de Cadenas, tras un silencio editorial de una década, comienza a transitar un camino distinto. Fue, en verdad, la entrada del poeta a esa casa sin atavíos que había nombrado en Una isla. Atrás quedaba la torrencial elocuencia de Los cuadernos del destierro (1960), pero no la enseñanza  de ese viaje, menos aún, la aguda y lúcida introspección de sus Falsas maniobras (1966), ajena del todo a los egocéntricos alardes de cierta poesía que acostumbraba fatigar las imprentas como lo hace ahora con las redes. Se trataba de un cambio, sí, pero también de una perseverancia ética. No hace mucho, en una entrevista, Cadenas dijo que su poesía había venido de la poesía misma, para dirigirse después hacia la contención.

Ana Nuño, en el magnífico prólogo que escribió para la primera antología de Rafael Cadenas publicada en España (Antología, Visor, 2000), afirma que en Los cuadernos del destierro “el poeta busca menos ‘declarar su nombradía’ que desbrozar un terreno previamente acotado por otras voces” y nos invita a leer ese legendario libro de Cadenas como “el minucioso, pormenorizado informe de un viajero que, antes de zarpar y emprender una larga travesía, hiciera un repaso a lo que hasta ese entonces han sido sus pertenencias. Los cuadernos es, desde este punto de vista, la puesta en práctica del designio eliotiano: set my lands in order”.

Siguiendo el hilo de Ana, podríamos decir que la voz poética de Cadenas fue también una “tierra ganada a las sequedades” (Memorial). Desde Intemperie, como lo dice en el poema con el que cierra el libro, el poeta busca que cada palabra “lleve lo que dice./ Que sea como el temblor que la sostiene”. Pienso que lo asomado en los versos de Una isla, citados al inicio de esta nota, se hizo evidente en el aludido texto de Intemperie (Ars poetica), incluido en la breve selección que leerán acá.

Afirmar que Rafael Cadenas es uno de los poetas vivos más importantes de Venezuela es ya un lugar común. No por eso voy a dejar de repetirlo, máxime cuando importantes premios internacionales, además de confirmarla, extienden la validez de la frase hacia otros territorios. Así, puedo retocar el énfasis (contrario al espíritu del poeta, por cierto) y decir, con orgullo barquisimetano, que Cadenas es uno los poetas vivos más importantes de la lengua española.

A partir del 2009, con el Premio de Literatura en Lenguas Romances que otorga la Feria Internacional del Libro de Guadalajara (FIL, la principal cita editorial del mundo hispano), se dio inicio a esos merecidos reconocimientos, que el “Lorca”, en el 2015, y el “Reina Sofía” en el año (2018), no han hecho más que ratificar. A ello debemos añadir los diversos estudios y artículos que un número cada vez mayor de críticos y lectores han dedicado a la obra del venezolano, en España, México y en otros países. De ese modo, ahora es posible escuchar de María Fernanda Palacios, nuestra mayor ensayista, estas palabras que comparto:

Antes era más fácil escribir sobre Rafael Cadenas. Pocos sabían, fuera de Venezuela, quién era. Pocos conocían sus libros o lo habían escuchado. Corre aún la leyenda de que el poeta no habla. No es cierta. Aquí algunos querrían que esto fuera verdad, o que hablara menos, porque hoy a Cadenas se le lee y se le escucha incluso fuera de nuestras fronteras…” y lo que dice «hace contraste» (M.F. Palacios, Cuadernos Hispanoamericanos Nro. 780, junio de 2015).

Con la cita anterior no sólo podemos subrayar lo dicho acerca del creciente y merecido interés que la obra de Cadenas suscita actualmente fuera de Venezuela, sino también el carácter libre y civil de esa voz que contrasta con la estridencia y la sumisión. Proviene de una conciencia limpia y de una honda indagación intelectual. No olvidemos que el poeta es también un hombre de pensamiento, como lo revelan, además de su poesía, sus ensayos, sus aforismos, sus dichos y sus anotaciones. Por cierto, su Obra entera (México, 2000 y España, 2007)  sugiere una lectura de Cadenas en la que dialogan armoniosamente su poesía y su prosa, como si la segunda surgiese de la primera. O viceversa.

Nacido en Barquisimeto en 1930, Cadenas publicó sus primeros poemas cuando tenía apenas dieciséis años. Reunidos bajo el título Cantos iniciales (1946), esos textos son ahora una rareza. Aparte de no haber sido nunca reeditados, no suelen figurar dentro de la bibliografía conocida del autor. La apretada selección que leerán acá incluye un texto de ese libro casi secreto. Creemos que se trata de una pequeña joya juvenil. Le siguen Tú que caminas (Una isla), Nombres y Fracaso (Falsas maniobras), Ars poetica (Intemperie) y finalmente, La búsqueda (Sobre abierto, 2012).

En el último poema de la selección, el autor nos dice que, “…concluido el viaje/ sentimos que en nosotros/ (…)/ había nacido/ otro temple”. Ya en Memorial (1977), en un texto titulado En el jardín después de los estragos, el amanecer le había entregado a la ciudad del poeta ese “otro temple”. Para fortuna de sus lectores, con él, Cadenas sigue haciendo su luminosa poesía. La impecable traducción de Marcela Filippi Plaza nos permite ahora apreciarla en italiano.


Barquisimeto, 30 de julio de 2018

Freddy Castillo Castellanos
(Venezuela)
versione italiana di Marcela Filippi Plaza

**

La mia casa è sola

La mia casa è sola
un giorno l’abbiamo lasciata tra penosi addii di madre
abbiamo suonato e nessuno risponde,
la mia casa è sola, la nostra casa fratello, è sola
e nemmeno so cosa vi sarà rimasto dentro.

(Canti iniziali, 1946)

Mi casa está sola

Mi casa está sola
la dejamos un día entre lastimosas despedidas de madre
tocamos y nadie contesta,
mi casa está sola, nuestra casa hermano, está sola
y ni sé qué habrá quedado allá adentro.

(Cantos iniciales, 1946)

***

Tu che cammini…

Tu che cammini in questa notte nella solitudine della strada, vai piena di baci che non hai dato.

Dell’amore ignori la scrittura prodigiosa.

Sebbene tu non mi conosca, nel mio corpo trema lo stesso mare che danza nelle tue vene.

Accogli i miei occhi millenari, il mio corpo ripetuto, il sussurro della mia sabbia.

(Un’isola, 1958)

Tú que caminas…

Tú que caminas esta noche en la soledad de la calle, vas llenas de besos que no has dado.

Del amor ignoras la escritura prodigiosa.

Aunque no me conoces, en mi cuerpo tiembla el mismo mar que en tus venas danza.

Recibe mis ojos milenarios, mi cuerpo repetido, el susurro de mi arena.

(Una isla, 1958)

****

Nomi

Ti chiami foglia umida, notte di appartamento solo, vicissitudine,
campana, levigatezza, e lascivia, ingenuità, morbidezza della pelle, luna piena,
crisi
oh mia grotta , mio anello di Saturno, mio loto da mille petali
Eufrate e Tigri, riccio di mare, ghirlanda, Jano, recipiente, tortora, S. e
trifoglio
ovipara
uva, vello e pietrificazione
potresti chiamarti…
ma il tuo nome è
letto, lavandino, dentifricio, caffè, prima sigaretta,
poi sole da taxi, acacia, ti chiami anche acacia e six pi
em -em- o half past six o seven,
birra e Shakespeare
e ti chiami di nuovo foglia umida, notte d’appartamento solo
giorno dopo giorno,
sì, hai tanti nomi
e non posso chiamarti
tutto così assurdo come quelle mattine senza amore che lo specchio
dei bagni raccoglie e protegge
tutto così desolatamente inavvicinabile
tutto così causa persa.

(False manovre, 1967)

Nombres

Te llamas hoja húmeda, noche de apartamento solo, vicisitud,
campana, tersura y lascivia, ingenuidad, lisura de la piel, luna llena, crisis
oh mi cueva, mi anillo de Saturno, mi loto de mil pétalos
Éufrates y Tigris, erizo de mar, guirnalda, Jano, vasija, tórtola, S. y trébol
ovípara
uva, vellocino y petrificación
podrías llamarte…
pero tu nombre es
lecho, lavamanos, dentífrico, café, primer cigarrillo,
luego sol de taxis, acacia, también te llamas acacia y six pi em
–em- o half past six o seven,
cerveza y Shakespeare
y vuelves a llamarte hoja húmeda, noche de apartamento solo
día tras día,
sí, tienes tantos nombres
y no te puedo llamar
todo tan absurdo como esas mañanas sin amor que el espejo de los
baños recoge y protege
todo tan desoladamente inabordable
todo tan causa perdida

(Falsas maniobras, 1967)

*****

Fallimento

Quanto ho preso per vittoria è solo fumo.

Fallimento, linguaggio di sottofondo, varco di uno spazio più
esigente, difficile da decifrare è la tua scrittura.

Quando mettevi il tuo marchio sulla mia fronte, non ho mai pensato
nel messaggio che portavi, più prezioso di tutti i trionfi.
Il tuo fiammeo volto mi ha perseguitato ed io non sapevo allora
che fosse per salvarmi.
Per il mio bene mi hai lasciato agli angoli, mi hai negato
facili successi, mi hai privato delle vie di fuga.
Era me che volevi difendere non conferendomi luce.
Per puro amore per me hai governato il vuoto che in tante
notti mi ha fatto parlare febrilmente a un’assente.
Per proteggermi hai ceduto il passo ad altri, hai permesso
che una donna preferisse qualcuno più deciso, mi hai distolto
da licenze suicide.

Tu sei sempre intervenuto per prestare aiuto.

Sì, il tuo corpo piagato, sputato, odioso, mi ha accolto
nella mia forma più pura per consegnarmi all’essenzialità del
deserto.
Per pazzia ti ho maledetto, ti ho maltrattato, ti ho bestemmiato.

Tu non esisti.
Sei stato inventato da una delirante superbia.
Quanto ti devo!

Mi hai elevato a un nuovo rango pulendomi con una spugna
ruvida, gettandomi al mio vero campo di battaglia, cedendomi
le armi che il trionfo abbandona.
Mi hai condotto per mano verso l’unica acqua che possa riflettermi.
Grazie a te non conosco l’angoscia di recitare un ruolo, di reggermi
per forza a un gradino, salire con sforzi propri, litigare per
gerarchie, gonfiarmi fino a scoppiare.
Mi hai reso umile, silenzioso e ribelle.
Non ti canto per ciò che sei, ma per ciò che non mi hai  lasciato essere.
Per non darmi un’altra vita. Per avermi tenuto stretto.

Mi hai offerto solo semplicità.

Certamente mi hai educato con durezza, e tu stesso portavi
il cauterio! E mi hai anche dato la gioia di non
temerti.

Grazie per togliermi volume in cambio di una scrittura piena.
Grazie a te mi hai privato di boria.
Grazie per la ricchezza a cui mi hai costretto.
Grazie per costruire con fango la mia dimora.
Grazie per appartarmi.
Grazie.

(False manovre, 1967)

Fracaso

Cuanto he tomado por victoria es sólo humo.

Fracaso, lenguaje del fondo, pista de otro espacio más exigente, difícil de entreleer es tu
letra.

Cuando ponías tu marca en mi frente, jamás pensé en el mensaje que traías, más precioso
que todos los triunfos.
Tu llameante rostro me ha perseguido y yo no supe que era para salvarme.
Por mi bien me has relegado a los rincones, me negaste fáciles éxitos, me has quitado
salidas.
Era a mí a quien querías defender no otorgándome brillo.
De puro amor por mí has manejado el vacío que tantas noches me ha hecho hablar
afiebrado a una ausente.
Por protegerme cediste el paso a otros, has hecho que una mujer prefiera a alguien más
resuelto, me desplazaste de oficios suicidas.

Tú siempre has venido al quite.

Sí, tu cuerpo llagado, escupido, odioso, me ha recibido en mi más pura forma para
entregarme a la nitidez del desierto.
Por locura te maldije, te he maltratado, blasfemé contra ti.

Tú no existes.
Has sido inventado por la delirante soberbia.
¡Cuánto de debo!

Me levantaste a un nuevo rango, limpiándome con una esponja áspera, lanzándome a mi
verdadero campo de batalla, cediéndome las armas que el triunfo abandona.
Me has conducido de la mano a la única agua que me refleja.
Por ti yo no conozco la angustia de representar un papel, mantenerme a la fuerza en un
escalón, trepar con esfuerzos propios, reñir por jerarquías, inflarme hasta reventar.
Me has hecho humilde, silencioso y rebelde.
Yo no te canto por lo que eres, sino por lo que no me has dejado ser. Por no darme
otra vida. Por haberme ceñido.

Me has brindado sólo desnudez.

Cierto que me enseñaste con dureza ¡y tú mismo traías el cauterio!, pero también me diste
la alegría de no temerte.

Gracias por quitarme espesor a cambio de una letra gruesa.
Gracias a ti que me has privado de hinchazones.
Gracias por la riqueza a me has obligado.
Gracias por construir con barro mi morada.
Gracias por apartarme.
Gracias.

(Falsas maniobras, 1967)

******

Ars poetica

Che ogni parola rechi ciò che dice.
Che sia come la scossa che la sostiene.
Che rimanga come una palpitazione.

Non devo proferire falsità né mettere inchiostro dubbioso né
aggiungere lustro a ciò che è.
Questo mi obbliga ad ascoltarmi. Ma siamo qui per dire verità.
Siamo reali.
Voglio esattezze terrorizzanti.
Tremo quando credo di falsificare me stesso. Devo soppesare le mie
parole. Mi posseggono come io posseggo loro.

Se non vedo bene, dimmi tu, tu che mi conosci, mia bugia, indicami
l’impostura, strigliami la truffa.
Ti ringrazierò, davvero.
Impazzisco per corrispondermi.
Sii il mio occhio, aspettami di notte e scorgimi, scrutami, scuotimi.

(Intemperie, 1977)

Ars poética

Que cada palabra lleve lo que dice.
Que sea como el temblor que la sostiene.
Que se mantenga como un latido.

No he de proferir adornada falsedad ni poner tinta dudosa ni añadir
brillos a lo que es.
Esto me obliga a oírme. Pero estamos aquí para decir verdad.
Seamos reales.
Quiero exactitudes aterradoras.
Tiemblo cuando creo que me falsifico. Debo llevar en peso mis
palabras. Me poseen tanto como yo a ellas.

Si no veo bien, dime tú, tú que me conoces, mi mentira, señálame
la impostura, restriégame la estafa.
Te lo agradeceré, en serio.
Enloquezco por corresponderme.
Sé mi ojo, espérame en la noche y divísame, escrútame, sacúdeme.

(Intemperie, 1977)

*******

La ricerca

Mai troveremo il Graal.
I racconti non erano veridici.
Solo la fatica delle strade accompagnava
chi si avventurava,
ma ci si aspettava delle storie,
cosa sarebbe il nostro vivere
senza queste?

Nulla si è risolto,
saremmo potuti rimanere a casa.
E’ che siamo così irrequieti.
Tuttavia, concluso il viaggio
abbiamo sentito che in noi
-non più ostaggi
della speranza-
era nata
un’altra tempra.

(Busta aperta, 2012)

La búsqueda

Nunca encontramos el Grial.
Los relatos no eran verídicos.
Sólo la fatiga de los caminos acompañó
a los que se aventuraron,
pero se esperaban historias,
¿qué sería nuestro vivir
sin ellas?

Nada se resolvió,
hubiéramos podido quedarnos en casa.
Es que somos tan inquietos.
Sin embargo, concluido el viaje
sentimos que en nosotros
-ya no rehenes
de la esperanza-
había nacido
otro temple.

(Sobre abierto, 2012)

Rafael Cadenas

traduzione a cura di Marcela Filippi Plaza


Nessun commento:

Posta un commento