de/di Luis Miguel Rabanal
(trad. Marcela Filippi)
También nos ha ocurrido un día que el temor atenaza
el cuerpo que fue nuestro y nos ponemos bobos al averiguar
que la realidad nos contempla desde portones cálidos.
De tal modo es la fortuna de quien sonríe en su lecho
mientras se frota los ojos para comprobar
que le pertenecen y se esparce por el mundo su ceniza.
Igual que si hubiese muerto ayer en el borde del pantano,
al querer ser testigo mudo de su voz cuando contaba
que el dolor posee un rostro hermoso si no es a ti
al que zarandea el muy memo, árbol en ascuas frente
al observador de la experiencia, si no nos toca con su garfio
frío y nos amedrenta sin ninguna fogosidad
en sus palabras.
Él está cansado de olvidarse
y reaparece en su cuarto la jauría que hemos visto
hincada en las arterias de su cuello de noche,
cuando las estrellas son simplemente estrellas y la arcada
sucede, y la sangre circunscribe su pasatiempo ineficaz
que es hacer desaparecer
con discreción los días.
Seguro que habrá un martes sin pesar, o él ignora
cómo son los minutos que siguen al daño impertinente
que cree haber sentido en el fondo desigual de su cerebro,
una y otra vez, como los caballos retumban
desde la edad que él apenas si consiente haber vivido.
Nadie llama en esa puerta que ahora mismo se entreabre.
Se está bien aquí anotando la remota entelequia
de un náufrago amigo sobre el cuaderno negro y ajado.
Si a ella, por lo menos, le apeteciese venir a socorrer
con su cuerpo a este cuerpo extinguido que desearía
sobrevivir, un día más,
en la mañana.
È capitato anche a noi un giorno che il timore attanagliasse
il corpo che fu nostro e divenissimo ottusi scoprendo
che la realtà ci contempla da tiepidi portoni.
Siffatta è la fortuna di chi sorride nel suo letto
mentre si strofina gli occhi per comprovare
che gli appartengono e si sparga per il mondo la sua cenere.
Proprio come se fosse morto ieri sul ciglio della palude,
volendo essere testimone muto della sua voce quando raccontava
che il dolore possiede un volto bellissimo se non sei tu
colui che è scosso dallo stolto, albero in fiamme davanti
all'osservatore dell'esperienza, se non ci tocca col suo uncino
freddo e non ci atterrisce senza alcuna foga
nelle sue parole.
Lui è stanco di dimenticare
e riappare nella sua stanza il branco che abbiamo visto
inginocchiato nelle arterie del suo collo di notte,
quando le stelle sono semplicemente stelle e il conato
giunge, e il sangue circoscrive il suo passatempo inefficace
di far scomparire
con discrezione i giorni.
Sicuramente ci sarà un martedì senza rammarico, o lui ignora
come sono i minuti che susseguono il danno impertinente
che crede di aver sentito nel fondo disuguale del suo cervello,
una e più volte, così come riecheggiano i cavalli
dall'età che a stento ammette di aver vissuto.
Nessuno bussa a quella porta che proprio ora si dischiude.
Si sta bene qui ad annotare la remota entelechia
di un amico naufrago sul quaderno nero e sciupato.
Se lei, almeno, avesse voglia di venire in soccorso
col suo corpo a questo corpo estinto che vorrebbe
sopravvivere, un giorno ancora,
di mattina.
(Del libro Que llueva siempre. Huerga & Fierro editores)
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