de/di Santos Domínguez Ramos
(trad. Marcela Filippi)
En otro tiempo estás. Eres el dueño
de un ámbito cerrado como un sueño.
J.L.Borges
Tomo otra vez como punto de partida una fotografía. Es de Borges, de un Borges anciano y seriamente enfermo. Tenía ya un avanzado cáncer de hígado. Pacientemente soportaba que se le llevara y se le trajera por el mundo como a una atracción de feria. En la fotografía está acariciando con su mano ciega a una gata. A Borges lo perseguían los gatos cuando ultimaba con Bioy Casares un conjunto de relatos sobre don Isidro Parodi. A Borges lo perseguían, a Bioy no. Bioy es un escritor de perros, como Borges lo es de gatos. Por eso nunca escribió una sola línea sobre un perro y sin embargo fue prolífico no sólo en sus referencias a los tigres, sino también a los gatos, esos felinos menores que pasean con dignidad su melancolía agreste de haber sido feroces. Invito al lector a que repase mentalmente la presencia literaria de los gatos en la literatura. Sin mucho esfuerzo, comprobará que es numerosa. De Baudelaire a Borges, de Lorca a Umbral, de Rubén a Drummond de Andrade, hay toda una literatura brillante sobre el gato. Si intenta el mismo ejercicio con los perros no tardará en darse cuenta de qué aunque lo pueda parecer, no es una broma fácil ni una pinturería superficial. Con rigor suficiente, con el mismo rigor taxonómico que se otorga a otras propuestas, sugiero la siguiente: se pueden distinguir dos tipos de escritores, los escritores de perro y los escritores de gato. Son dos tipologías bien definidas: tenaces, activos, peleones los primeros. Mejor dotados, por tanto, para la constancia que exige el ejercicio narrativo. Balzac y Galdós eran escritores de perro, Julio Llamazares también. Conozco pocos casos de poetas con perro, al menos con perro grande. La excepción aparece en la antología Abierto al aire. Allí un poeta posa con un perro. No sé si verde. Podría ser. Con razón Manuel Carrapiso ironizaba en “De nieblas interiores” sobre los poetas que se dedican a pasear al perro. El pasado épico del Coliseo romano no admitía gatos, sino leones o tigres; su presente ruinoso es habitación propicia a los gatos y al lamento lírico de la ruina y del tiempo. El gato no consiente que lo saquen de paseo. Cuando quiere salir no le pide permiso a nadie. Hay en los gatos, como en los poetas, un origen sagrado, una raíz profundamente telúrica e inquietante. Ambos están del otro lado de los sueños y contemplan el mundo desde la altura impenetrable de su mirada de esfinge. Son independientes, altivos e inconstantes. Unos y otros. Indolentes y contemplativos, sedentarios y seductores, mantienen una intensidad de corto recorrido. Flexibles como un endecasílabo, los gatos son astutos y certeros como una imagen. Serenos como un soneto, meticulosamente limpios como una sinestesia, los gatos son también, igual que los poetas, eléctricos y nocturnos. Animales líricos en suma, que miran desde su distante altivez de príncipes de Siam y sólo en muy contadas noches de invierno se permiten la debilidad impúdica del lamento. Con evidente hipérbole, decía Osvaldo Soriano que un escritor sin gato es como un ciego sin lazarillo. Carlos Drummond de Andrade lo define como guardián y símbolo de la vida intelectual. Quizá no sea para tanto, pero es verdad que esa tempestad silenciosa que hay siempre escondida dentro de un gato de mirada impenetrable se emparenta con el secreto de la creación literaria. Tal vez por eso decía un Lorca joven que Verlaine era casi un gato. En una ocasión me comentaba Luis Mateo Díez que no hay nada más empachoso que un gato empachoso. Es cierto. Me lo decía en tono un poco zumbón, pero no hacía más que darme un argumento. También con algunos poetas pasa lo mismo. El gato, sutil y reservado, provoca en muchas personas un rechazo insalvable e irracional. Y hay escritores de indisimulable cara de bulldog que nunca se harán querer de un gato. Lo más que les sugiere es un cantazo seguido de una risotada por la hazaña. Son narradores, claro. No hace falta decir que soy escritor de gato. Ahora mismo se pasea entre mis papeles, se enrosca junto al teclado y me observa con displicencia. Desde la distancia de su mirada azul y perezosa, se obstina en negarme cada noche el secreto de las imágenes afiladas y urgentes que oculta la profundidad transparente de sus ojos. Unos ojos que, como los poetas, no son de este mundo. Borges no lo sabía, pero la gata que está acariciando en la fotografía tiene exactamente el mismo color de pelo que María Kodama.
Ti trovi in un altro tempo. Sei il detentore
di un ambito chiuso come un sogno.
J.L.Borges
Prendo di nuovo come punto di partenza una fotografia. E’ di Borges, di un Borges anziano e seriamente malato. Aveva già un cancro avanzato al fegato. Sopportava pazientemente di essere portato in giro per il mondo come attrazione da fiera. Nella fotografia accarezza con la sua mano cieca una gatta. Borges era inseguito dai gatti quando stava ultimando insieme a Bioy Casares una serie di racconti su Don Isidro Parodi. A Borges lo inseguivano, a Bioy no. Bioy è uno scrittore di cani, così come Borges lo è di gatti. Ecco perché non scrisse mai una sola riga su un cane, comunque fu prolifico non solo nei suoi riferimenti alle tigri, ma anche ai gatti, quei felini minori che passeggiano con dignità nella loro malinconia agreste perché stati feroci. Invito il lettore a rivedere mentalmente la presenza letteraria di gatti nella letteratura. Senza molto sforzo, troverà che è numerosa. Da Baudelaire a Borges, da Lorca a Umbral, da Rubén a Drummond de Andrade, c'è un'intera e brillante letteratura sul gatto. Se prova a fare lo stesso esercizio con i cani, si accorgerà presto, anche se può sembrarlo, che non è un gioco facile né tantomeno una facezia. Con sufficiente rigore, con lo stesso rigore tassonomico rivolto ad altre proposte, suggerisco quanto segue: si possono distinguere due tipi di scrittori, gli scrittori di cani e gli scrittori di gatti. Sono due tipologie ben definite: tenaci, attivi, combattenti i primi. Meglio dotati, quindi, nella costanza che esige l'esercizio narrativo. Balzac e Galdós erano scrittori di cani, anche Julio Llamazares. Conosco pochi casi di poeti con cani, almeno con cani di grossa taglia. L'eccezione appare nell'antologia “Abierto al aire”. Lì un poeta posa con un cane. Non so se verde. Potrebbe essere. Ragion per cui, Manuel Carrapiso ironizzava in “De nieblas interiores” sui poeti che si dedicano a portare a spasso il cane. Il passato epico del Colosseo romano non ammetteva gatti, bensì leoni o tigri; Il suo presente rovinoso è abitazione favorevole ai gatti e al lamento lirico della rovina e del tempo. Il gatto non acconsente di essere portato a spasso. Quando vuole uscire, non chiede il permesso a nessuno. C'è nei gatti, come nei poeti, un'origine sacra, una radice profondamente tellurica e inquietante. Entrambi stanno dall'altra parte dei sogni e contemplano il mondo dall'altezza impenetrabile del loro sguardo da sfinge. Sono indipendenti, altezzosi e incostanti. Gli uni e gli altri. Indolenti e contemplativi, sedentari e seducenti, mantengono un'intensità ravvicinata. Flessibili come un endecasillabo, i gatti sono astuti e precisi come un'immagine. Sereni come un sonetto, meticolosamente puliti come una sinestesia, i gatti sono anche, come i poeti, elettrici e notturni. In sintesi, animali lirici, che guardano dalla distante alterigia come principi del Siam e solo in pochissime notti d’inverno, si permettono l'impudica debolezza del lamento. Con evidente iperbole, Osvaldo Soriano diceva che uno scrittore senza gatto è come un cieco senza la sua guida. Carlos Drummond de Andrade lo definisce guardiano e simbolo della vita intellettuale. Forse potrebbe risultare eccessivo, ma è vero che quella tempesta silenziosa, che è sempre nascosta dentro un gatto dallo sguardo impenetrabile è legata al segreto della creazione letteraria. Forse è per questo che un giovane Lorca diceva che Verlaine era quasi un gatto. Una volta Luis Mateo Díez mi commentava che non c'è niente di più imbarazzante di un gatto imbarazzato. È vero. Me lo diceva con un tono un po’ beffardo, e così facendo mi offriva un argomento. Anche con alcuni poeti accade la stessa cosa. Il gatto, sottile, riservato, provoca in molte persone un rifiuto insormontabile e irrazionale. E ci sono scrittori dall'inconfondibile faccia da bulldog che mai si faranno amare da un gatto. Ciò che più ispira loro è una sassata seguita da una gran risata per l'impresa. Sono narratori, ovviamente. Inutile dire che sono uno scrittore da gatto. Proprio ora passeggia tra i miei fogli, si aggomitola sulla tastiera e mi osserva con indifferenza. Dalla distanza del suo sguardo azzurro e pigro, mi rifiuta ostinatamente ogni notte il segreto delle immagini nitide e urgenti che la profondità trasparente dei suoi occhi nasconde. Occhi che, come i poeti, non sono di questo mondo. Borges non lo sapeva, ma il gatto che accarezza nella fotografia ha esattamente lo stesso colore di capelli di Maria Kodama.
(Memorial de un testigo. Editora Regional de Extremadura. Mérida, 2002)
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