de/di María Ángeles Pérez López
(trad. Marcela Filippi)
Cuando estoy ante la hoja de papel
y pienso que la tinta la fecunda,
la ensucia felizmente con su esperma
oscuro y rumoroso como el agua,
me siento tan inútil e incapaz
mirando la fiereza del amor
de otros versos escritos desde antes
que apenas malamente si me sirven;
tan solo es que conozco la teoría
de una parte del libro que alimento
pero a partir de ahí el camino está
sin marcas ni cercado ni balido,
la soledad es mía y solo mía,
las letras más oscuras las anoto
con el aire que expulsan mis pulmones
y es mía la silbante desazón
con que pronuncio sitios y personas
si ya crecí y no puedo sostenerme
y estoy mirando sola el alfabeto
para ver cómo horada sobre el aire,
sobre el cuerpo del tiempo en el que soy,
estelas o señales demoradas.
Por eso mi mirada no es ingenua
o solo en ese resto de primaria
y soleada picazón de la alegría,
porque gané y me hice poseedora
de la zona de sombra incuestionable
con que las cosas miran a la muerte.
También de la torpeza con que miran
el sol y su calor en primavera
si llegan los manzanos a traer
el corcho del sabor ya restallado
como un licor ardiendo en el empeño
inútil e insensato de construir,
de armar un edificio de cristal
para atrapar la sombra de ceniza,
rescoldo que dejamos en el aire.
Quando sono davanti al foglio di carta
e penso che l'inchiostro lo fecondi,
lo sporchi felicemente col suo sperma
scuro e rumoroso come l'acqua,
mi sento così inutile e incapace
guardando la fierezza dell'amore
di altri versi scritti prima
che con difficoltà appena mi servono;
conosco soltanto la teoria
di una parte del libro che alimento
ma a partire da lì il cammino è
senza segni né recinzione né belato,
la solitudine è mia e solo mia,
le lettere più scure le annoto
con l'aria che i miei polmoni espellono
ed è mia la stridula inquietudine
con cui pronuncio luoghi e persone
se sono già cresciuta e non posso sostenermi
e sto guardando da sola l'alfabeto
per vedere come perfora nell'aria,
nel corpo del tempo nel quale sono,
scie o segnali ritardati.
Per questo il mio sguardo non è ingenuo
o soltanto in quel resto di primario
e soleggiato prurito di gioia,
perché ho vinto e ho conquistato il possesso
dell'indiscutibile zona d'ombra
con cui le cose guardano la morte.
Anche della goffaggine con cui guardano
il sole e il suo calore in primavera
se i meli giungono a portare
il tappo del sapore già sprigionato
come un liquore che arde nello sforzo
inutile e insensato di costruire,
di modellare un edificio di cristallo
per catturare l'ombra di cenere,
braci che lasciamo nell'aria.
(de Catorce vida y una más. Poesía reunida 1995-2012. Diputación de Salamanca, 2020)
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