de/di Freddy Castillo Castellanos
1950-2020
(trad. Marcela Filippi)
Ludwig Wittgenstein, en el prólogo de Tractatus escribió estas palabras luminosas: “Todo aquello que puede ser dicho, puede decirse con claridad: y de lo que no se puede hablar, mejor es callarse”.
Si aceptamos el espíritu de ese texto neopositivista, mal podríamos emprender una aproximación científica a la literatura. El sentido de ésta es, precisamente, carecer de sentido y, todo acercamiento que intentemos será, en rigor, exclusivamente literario.
Toléreseme un lugar común: la crítica también es creación. Por serlo, está destinada a iluminar los textos que la ocupan, a hacerlos actuales, transparentes. Desde hace mucho tiempo la crítica dejó de ser preceptiva y su campo no es ya el de la contabilidad literaria. Tampoco la rigen normas como la objetividad y la verosimilitud, lúcidamente demolidas por Roland Barthes. Esas normas pertenecieron a la crítica tradicional, practicada todavía por algunos ingenuos.
Sitúo a la crítica en la línea trazada por Borges en Pierre Menard, autor del Quijote: un mismo párrafo puede ser objetos de miradas diferentes. Recordemos: “…la verdad, cuya madre es la historia, émula del tiempo, depósito de las acciones, testigo de lo pasado, ejemplo y aviso de lo presente, advertencia de lo por venir”. Firmada por Cervantes, esa enumeración resulta “un mero elogio retórico de la historia”. Firmada por Pierre Menard, “la idea es asombrosa”. Añade Borges: “También es vívido el contraste los estilos. El estilo arcaizante de Menard- extranjero al fin- adolece de alguna afección. No así el del precursor, que maneja con desenfado el español corriente de su época.
“A contrapelo de lo prescrito por L.A. Richards en Practical Criticism, Borges sostiene la imposibilidad de la crítica científica y propone en su lugar la crítica ambigua, acaso imaginaria, como lo apunta en el trabajo cuyas referencias no recuerdo, Emir Rodríguez Monegal inteligente crítico uruguayo.
La crítica, en el sentido borgeano, es una tarea enriquecedora. Discurre en un terreno enteramente libre, sin señales de tránsito dispuestas con antelación. Esa visión de la crítica desecha, por pobres, las interpretaciones extraliterarias, “comprometidas” con supuestas entidades histórico-sociales. Alfonso Reyes y Octavio Paz han lapidado con contundencia y elegancia esa manera de acceder al hecho literario.
Precisamos en Venezuela de una crítica creadora, culta, no provinciana. Crítica que atienda a conceptos literarios sobre literatura, imprescindible tautología que acaso nos pueda redimir de tanto psicoanálisis y sociologías. Pese a la resonante mediocridad de algunos cultores de la crítica, los venezolanos hemos ido ascendiendo a la contemporaneidad en este campo con los trabajos de Guillermo Sucre y de Francisco Rivera.
Ludwig Wittgenstein, nel prologo di Tractatus, scrisse queste luminose parole: “Tutto ciò che può essere detto, si può dire con chiarezza: e ciò di cui non si può parlare, è meglio tacere.”
Se accettiamo lo spirito di questo testo neopositivista, difficilmente potremmo intraprendere un approssimazione scientifica alla letteratura. Il senso di questa è, precisamente, di essere carente di senso e qualsiasi approccio che noi tenteremo sarà, in senso stretto, esclusivamente letterario.
Permettetemi un luogo comune: anche la critica è creazione. Proprio perché lo è, è destinata a illuminare i testi che la occupano, a renderli attuali e trasparenti. Da molto tempo la critica ha cessato di essere precettiva e il suo campo non è più quello della contabilità letteraria. Né tantomeno è retta da norme quali l’oggettività e la verosimiglianza, lucidamente demolite da Roland Barthes. Quelle norme appartenevano alla critica tradizionale, praticata ancora da alcuni ingenui.
Colloco la critica sulla linea tracciata da Borges in Pierre Menard, autore del Don Chisciotte: uno stesso paragrafo può essere oggetto di visioni diverse. Ricordiamo: “…la verità, la cui madre è la storia, emulatrice del tempo, deposito delle azioni, testimone di ciò che è passato, esempio e monito del presente, avvertimento dell'avvenire”. Firmata da Cervantes, questa enumerazione è “un mero elogio retorico della storia”. Firmata da Pierre Menard, “l’idea è sorprendente”. Borges aggiunge: “Anche il contrasto di stili è vissuto. Lo stile arcaizzante di Menard – straniero alla fine – soffre di qualche affezione. Non è così quello del precursore, che maneggia con disinvoltura lo spagnolo corrente del suo tempo.
“In senso contrario a quanto prescritto da L.A. Richards in Pratical Criticism, Borges sostiene l'impossibilità della critica scientifica e propone la critica ambigua, forse immaginaria, come sottolinea nell'opera di cui non ricordo i riferimenti, Emir Rodríguez Monegal, intelligente critico uruguaiano.
La critica, nel senso borgesiano, è un compito arricchente. Si muove su un terreno completamente libero, senza segnali di transito prefissati. Questa visione della critica rifiuta, in quanto povere, le interpretazioni extra-letterarie, “impegnate” in presunte entità storico-sociali. Alfonso Reyes e Octavio Paz hanno imposto con forza ed eleganza questo modo di accesso al fatto letterario.
In Venezuela abbiamo bisogno di una critica creativa, colta, non provinciale. Critica che affronti concetti letterari sulla letteratura, un'imprescindibile tautologia che forse potrebbe redimerci da tanta psicoanalisi e sociologia. Nonostante la risonante mediocrità di alcuni cultori della critica, noi venezuelani stiamo ascendendo verso la contemporaneità in questo campo con le opere di Guillermo Sucre e Francisco Rivera.
(De incisiones)
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