lunedì 2 marzo 2020

EL FUEGO Y LA ROSA/IL FUOCO E LA ROSA

de/di Santos Domínguez Ramos
(trad. Marcela Filippi)
Morir no duele mucho. Nos duele más la vida. (Emily Dickinson)
No abrir la boca más. Vivir sin vida
con hielo entre los labios, y que así duelan menos
los puñales morados del silencio.
No caminar jamás por esas calles.
Tal vez equivocada,
perderme por las rubias galerías de la tarde,
por las islas del alma.
Esconder en el cuerpo el cristal de la angustia,
su rosa inapetente, su madurez de abejas.
No bajar de este cuarto.
Tras sus cuatro paredes, con los ojos cerrados,
renunciar a los rostros, vivir en la armonía
de los sonidos verdes que suben del jardín.
Su península azul de cantos y perfumes,
la flor de la oropéndola,
la llama elemental de la campana al alba,
serán mi único anillo en la voz del cansancio.
Dejaré estas palabras
sencillas como un río,
estos lirios humildes dentro de un laberinto,
estos mensajes cortos, este helado epigrama
que convoca al futuro con su flor disecada.
Algún día me traerán una taza de ocaso.
Que la oscura simiente de lluvia y la cibera,
madre de temporales,
invadan el espacio sin luces de la casa.
Quedarán los fragmentos secretos,
el eclipse, la ardilla
y esta nostalgia blanca, ¿de qué? ¿Del corazón?
Compondrán, no metáforas:
una música fría con su porción de noche
donde cante una oscura caracola sin sueño
el enigma primario de la vida,
la incomprensible sencillez del mundo,
su escritura secreta por fin ya descifrada.
Pero aún es el tiempo de que yo me pregunte
si al dejar de vivir morir nos duele menos.
Morire non fa molto male. La vita ci fa più male. (Emily Dickinson)
Non aprire più la bocca. Vivere senza vita
con gelo tra le labbra, affinché facciano meno male
i pugnali violacei del silenzio.
Non camminare mai per quelle strade.
Forse sbagliando
perdermi nelle torbide gallerie della sera,
nelle isole dell'anima.
Nascondere nel corpo il cristallo dell'angoscia,
la sua rosa inappetente, la sua maturità d’api.
Non scendere da questa stanza.
Dietro le sue quattro mura, con gli occhi chiusi,
rinunciare ai volti, vivere nell’armonia
dei suoni verdi che salgono dal giardino.
La loro penisola blu di canti e profumi,
il fiore dell'oropendola,
la fiamma elementare della campana all'alba,
saranno il mio unico anello nella voce della stanchezza.
Lascerò queste parole
semplici come un fiume,
questi umili gigli dentro un labirinto,
questi brevi messaggi, questo freddo epigramma
che convoca il futuro con il suo fiore essicato.
Un giorno mi porteranno una tazza di tramonto.
Che l’oscuro seme di pioggia e i primordio,
madre di temporali,
invadano lo spazio senza luci della casa.
Resteranno i frammenti segreti,
l'eclissi, lo scoiattolo
e questa nostalgia bianca, di cosa? Del cuore?
Comporranno, non metafore:
una musica fredda con la sua porzione di notte
in cui canti un’oscura conchiglia senza sonno
l'enigma primario della vita,
l'incomprensibile semplicità del mondo,
la sua scrittura segreta finalmente decifrata.
Ma è anche il tempo che io mi domandi
se smettendo di vivere morire ci fa meno male.

(de Las provincias del frío, Algaida Editores 2006)

Nessun commento:

Posta un commento