sabato 14 marzo 2020

EL GUARDIÁN DE LOS LIBROS/IL GUARDIANO DEI LIBRI

de/di Jorges Luis Borges
(trad. Marcela Filippi)
Ahí están los jardines, los templos, y la justificación de los templos,
la recta música y las rectas palabras,
los sesenta y cuatro hexagramas,
los ritos que son la única sabiduría
que otorga el Firmamento a los hombres,
el decoro de aquel emperador
cuya serenidad fue reflejada por el mundo, su espejo,
de suerte que los campos daban sus frutos
y los torrentes respetaban sus márgenes,
el unicornio herido que regresa para marcar su fin,
las secretas leyes eternas,
el concierto de orbe;
esas cosas o su memoria están en los libros
que custodio en la torre.
Los tártaros vinieron del Norte
en crinados potros pequeños;
aniquilaron los ejércitos
que el Hijo del Cielo mandó para castigar su impiedad,
erigieron pirámides de fugo y cortaron gargantas,
mataron al perverso y al justo,
mataron al esclavo encadenado que vigila la puerta,
usaron y olvidaron a las mujeres
y siguieron al Sur,
inocentes como animales de presa,
crueles como cuchillos.
En el alba dudosa
el padre de mi padre salvó los libros.
Aquí están en la torre donde yazgo,
recordando los días que fueron de otros,
los ajenos y antiguos.
En mis ojos no hay días. Los anaqueles
están muy altos y no los alcanzan mis años.
Leguas de polvo y sueño cercan la torre.
¿A qué engañarme?
La verdad es que nunca he sabido leer,
pero me consuelo pensando
que lo imaginado y lo pasado ya son lo mismo
para un hombre que ha sido
y que contempla lo que fue la ciudad
y ahora vuelve a ser el desierto.
¿Qué me impide soñar que alguna vez
descifré la sabiduría
y dibujé con aplicada mano los símbolos?
Mi nombre es Hsiang. Soy el que custodia los libros,
que acaso son los últimos,
porque nada sabemos del Imperio
y del Hijo del Cielo.
Ahí están en los altos anaqueles,
cercanos y lejanos a un tiempo,
secretos y visibles como los astros.
Ahí están los jardines, los templos.

Sono là i giardini, i templi e la giustificazione dei templi,
la retta musica e le rette parole,
i sessantaquattro esagrammi,
i riti che sono l'unica saviezza
che il Firmamento concede agli uomini,
il decoro di quell'imperatore
la cui serenità si riflesse nel mondo, suo specchio,
così che i campi davano i loro frutti
e i torrenti rispettavano i loro margini,
l'unicorno ferito che ritorna per segnare la fine,
le eterne leggi segrete,
il concerto dell’orbe;
tali cose o la loro memoria sono nei libri
che custodisco nella torre.
 I tartari vennero dal nord
su piccoli puledri chiomati;
annichilirono gli eserciti
che il Figlio del Cielo mandò per punire la loro empietà,
eressero piramidi di fuoco e tagliarono gole,
uccisero i perversi e il Giusto,
uccisero lo schiavo incatenato che vigila la porta,
usarono e dimenticarono le donne
e continuarono a Sud,
innocenti come animali da preda,
crudeli come coltelli.
Nell'alba dubbiosa
il padre di mio padre salvò i libri.
Sono qui nella torre ove giaccio,
ricordando i giorni che furono d’altri,
gli antichi e i forestieri.

Nei miei occhi non ci sono giorni. Gli scaffali
sono molto alti e i miei anni non li raggiungono.
Leghe di polvere e di sogno circondano la torre.
Perché ingannarmi?
La verità è che non ho mai saputo leggere,
ma mi consolo pensando
che l'immaginato e il passato sono tutt’uno
per un uomo che è stato
e che contempla quel che fu la città
e ora è di nuovo il deserto.
Cosa mi impedisce di sognare che un tempo
ho decifrato la saviezza
e ho disegnato con diligente mano i simboli?
Il mio nome è Hsiang. Sono colui che custodisce i libri,
che forse sono gli ultimi,
perché nulla sappiamo dell'Impero
e del Figlio del Cielo.
Sono lì sugli alti scaffali,
vicini e lontani alla volta,
segreti e visibili come gli astri.
Sono là i giardini, i templi.
(de Elogio de la sombra, 1969)

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