de Rafael Cadenas
-Falsas maniobras, 1967-
(trad. Marcela Filippi)
Cuanto he tomado por victoria es sólo humo.
Fracaso, lenguaje del fondo, pista de otro espacio más exigente, difícil de entreleer es tu
letra.
Cuando ponías tu marca en mi frente, jamás pensé en el mensaje que traías, más precioso
que todos los triunfos.
Tu llameante rostro me ha perseguido y yo no supe que era para salvarme.
Por mi bien me has relegado a los rincones, me negaste fáciles éxitos, me has quitado
salidas.
Era a mí a quien querías defender no otorgándome brillo.
De puro amor por mí has manejado el vacío que tantas noches me ha hecho hablar
afiebrado a una ausente.
Por protegerme cediste el paso a otros, has hecho que una mujer prefiera a alguien más
resuelto, me desplazaste de oficios suicidas.
Tú siempre has venido al quite.
Sí, tu cuerpo llagado, escupido, odioso, me ha recibido en mi más pura forma para
entregarme a la nitidez del desierto.
Por locura te maldije, te he maltratado, blasfemé contra ti.
Tú no existes.
Has sido inventado por la delirante soberbia.
¡Cuánto de debo!
Me levantaste a un nuevo rango, limpiándome con una esponja áspera, lanzándome a mi
verdadero campo de batalla, cediéndome las armas que el triunfo abandona.
Me has conducido de la mano a la única agua que me refleja.
Por ti yo no conozco la angustia de representar un papel, mantenerme a la fuerza en un
escalón, trepar con esfuerzos propios, reñir por jerarquías, inflarme hasta reventar.
Me has hecho humilde, silencioso y rebelde.
Yo no te canto por lo que eres, sino por lo que no me has dejado ser. Por no darme
otra vida. Por haberme ceñido.
Me has brindado sólo desnudez.
Cierto que me enseñaste con dureza ¡y tú mismo traías el cauterio!, pero también me diste
la alegría de no temerte.
Gracias por quitarme espesor a cambio de una letra gruesa.
Gracias a ti que me has privado de hinchazones.
Gracias por la riqueza a me has obligado.
Gracias por construir con barro mi morada.
Gracias por apartarme.
Gracias.
Quanto ho preso per vittoria è solo fumo.
Fallimento, linguaggio di sottofondo, varco di uno spazio più
esigente, difficile da decifrare è la tua scrittura.
Quando mettevi il tuo marchio sulla mia fronte, non ho mai pensato
nel messaggio che portavi, più prezioso di tutti i trionfi.
Il tuo fiammeo volto mi ha perseguitato ed io non sapevo allora
che fosse per salvarmi.
Per il mio bene mi hai lasciato agli angoli, mi hai negato
facili successi, mi hai privato delle vie di fuga.
Era me che volevi difendere non conferendomi luce.
Per puro amore per me hai governato il vuoto che in tante
notti mi ha fatto parlare febrilmente a un’assente.
Per proteggermi hai ceduto il passo ad altri, hai permesso
che una donna preferisse qualcuno più deciso, mi hai distolto
da licenze suicide.
Tu sei sempre intervenuto per prestare aiuto.
Sì, il tuo corpo piagato, sputato, odioso, mi ha accolto
nella mia forma più pura per consegnarmi all’essenzialità del
deserto.
Per pazzia ti ho maledetto, ti ho maltrattato, ti ho bestemmiato.
Tu non esisti.
Sei stato inventato da una delirante superbia.
Quanto ti devo!
Mi hai elevato a un nuovo rango pulendomi con una spugna
ruvida, gettandomi al mio vero campo di battaglia, cedendomi
le armi che il trionfo abbandona.
Mi hai condotto per mano verso l’unica acqua che possa riflettermi.
Grazie a te non conosco l’angoscia di recitare un ruolo, di reggermi
per forza a un gradino, salire con sforzi propri, litigare per
gerarchie, gonfiarmi fino a scoppiare.
Mi hai reso umile, silenzioso e ribelle.
Non ti canto per ciò che sei, ma per ciò che non mi hai lasciato essere.
Per non darmi un’altra vita. Per avermi tenuto stretto.
Mi hai offerto solo semplicità.
Certamente mi hai educato con durezza, e tu stesso portavi
il cauterio! E mi hai anche dato la gioia di non
temerti.
Grazie per togliermi volume in cambio di una scrittura piena.
Grazie a te mi hai privato di boria.
Grazie per la ricchezza a cui mi hai costretto.
Grazie per costruire con fango la mia dimora.
Grazie per appartarmi.
Grazie.