de/di Álvarez de Toledo
(trad. Marcela Filippi)
Caíste, altiva Roma, en fin caíste,
tú, que cuando a los cielos te elevaste,
ser cabeza del orbe despreciaste,
porque ser todo el orbe pretendiste.
Cuanta soberbia fábrica erigiste,
con no menor asombro despeñaste,
pues del mundo en la esfera te estrechaste,
¡oh Roma!, y sólo en ti caber pudiste.
Fundando en lo caduco eterna gloria,
tu cadáver a polvo reducido,
padrón será inmortal de tu victoria;
porque siendo tú sola lo que has sido,
ni gastar puede el tiempo tu memoria,
ni tu ruina caber en el olvido.
Sei caduta, altera Roma, alla fine sei caduta,
tu che quando ai cieli ti sei elevata,
esser la testa dell’orbe hai disprezzato,
perché esser tutta l’orbe hai imparato.
Quanta superbia costruita hai innalzato.
Con non men stupor scagliasti la saetta,
poiché del mondo nella sfera ti sei ristretta,
Oh Roma! Solo in te sentir potevi il tuo fato.
Fondato nel caduco eterna gloria,
il tuo cadavere a polvere ridotto,
padron sarà immortal della tua vittoria;
poiché sol tu sei stata così e hai sedotto,
non può consumare il tempo la tua memoria,
nemmen la rovina nell'oblio ti ha indotto.
nemmen la rovina nell'oblio ti ha indotto.
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