de/di Francisca Aguirre
(trad. Marcela Filippi)
A mis hermanas Susy y Margara
Aquella infancia fue más triste.
Ser niño en el cuarenta y dos parecía imposible.
Nuestra niñez era una mezcla de comprensión y
aburrimiento.
Éramos serios y aburridos.
Recuerdo aquellas tardes; eran como el mundo era
entonces:
sin resquicios y tristes.
Veo a mis pocos años observar con ahínco,
tras el cristal opaco, la calle larga y gris;
el sol estaba lejos y era lo único barato,
lo único que traía alegría sin exigirnos nada.
Veo a mi niña, adulta y consecuente
con un programa bien trazado:
crecer, crecer muy pronto, darse prisa
—ser niño era una carga demasiado pesada
para nosotros y para los grandes—.
Sólo en verano el mundo parecía asequible,
durante tres o cuatro meses saltar, correr, era la vida.
Lo gris volvía siempre muy pronto.
Un día amanecimos lentas, crecidas,
llenas de miedo, de presente.
Buscábamos palabras en el diccionario
con el afán de comprenderlo todo:
necesitábamos hacer lenguaje.
Algunos nos miraron con asombro,
decían que éramos inteligentes.
Nosotras, durante los dolientes domingos
dibujábamos inseguros paisajes.
Durante mucho tiempo ésas fueron todas mis
excursiones.
Salir a un campo que no fuera pintado
suponía gastar unos zapatos.
Salir, salir, ése era el sueño,
abolir a las trenzas, inaugurar la barra de labios:
¡mi reino por un trabajo!
¿Cómo rendir ahora un homenaje a aquellos días?
¿Cómo añorarlos sin desconfianza?
Se arrugaron, igual que los paisajes de papel,
mientras crecíamos hacia este desconsuelo que hoy nos puebla.
Alle mie sorelle Susy e Margara
Quell'infanzia è stata piuttosto triste.
Essere bambini nel quarantadue sembrava impossibile.
La nostra fanciullezza era un misto di comprensione e
noia.
Eravamo seri e noiosi.
Ricordo quelle sere; erano come era il mondo
allora:
senza scappatoie e tristi.
Vedo i miei pochi anni osservando con meticolosità,
dietro i vetri opachi, la strada lunga e grigia;
Il sole era lontano ed era l'unica cosa conveniente,
l'unica cosa che portava allegria senza esigere nulla da noi.
Vedo la mia bambina, adulta e coerente
con un programma ben tracciato:
crescere, crescere molto presto, sbrigarsi
—essere un bambino era un carico troppo pesante
per noi e per i grandi—.
Solo d’estate il mondo sembrava accessibile,
per tre o quattro mesi saltare, correre, era la vita.
iò che era grigio ritornava sempre troppo presto.
Un giorno ci siamo svegliate lentamente, cresciute,
piene di paura, di presente.
Cercavamo parole nel dizionario
con l'ansia di capire tutto:
avevamo bisogno di creare linguaggio.
Alcuni ci hanno guardavato stupiti,
dicevano che eravamo intelligenti.
Noi, durante le domeniche dolorose
disegnavamo paesaggi incerti.
Per molto tempo quelle furono tutte le mie
escursioni.
Uscire in un campo che non fosse dipinto
Ssupponeva consumare delle scarpe.
Uscire, uscire, quello era il sogno,
abolire le trecce, inaugurare il rossetto:
il mio regno per un lavoro!
Come rendere ora un omaggio a quei giorni?
Come averne nostalgia senza diffidenza?
Si sono sgualciti, come i paesaggi di carta,
mentre crescevamo verso questo sconforto che oggi
ci popola.