de/di Alejandro Oliveros
(trad. Marcela Filippi)
Siempre he creído que la poesía
es un don mezquino. No hay mayores razones
para sentirse orgulloso. No se trata
de los estigmas de San Francisco,
esa prueba irrefutable de la condición
de elegidos. Deberíamos ser humildes,
pero nuestro pecado es la vanidad.
Una vez escribí que nuestro oficio
era sólo aproximativo y no alcanzaríamos
la fijeza de las estrellas. Quería decir,
me parece, que no llegamos a lo que sentimos.
Lo que vivimos es un círculo y el poema
es otro, más pequeño y hambriento,
la distancia entre ellos es el naufragio.
Treinta años más tarde, sigo pensando
que no es la poesía el mayor de los dones.
Pero, después de tantas líneas y poemas,
y resmas de papel que han alimentado
mis cestos de basura, puedo decir
que ha servido para evocar las noches
y sus días, mi hija Constanza y mi paisaje. Poco más.
Sempre ho creduto che la poesia
sia un dono meschino. Non ci sono ragioni apprezzabili
per sentirsi orgogliosi. Non si tratta
delle stimmate di San Francesco,
quella prova inconfutabile della condizione
degli eletti. Dovremmo essere umili,
ma il nostro peccato è la vanità.
Una volta ho scritto che il nostro mestiere
era solo approssimativo e non avremmo raggiunto
la fissità delle stelle. Volevo dire,
mi pare che non giungiamo a ciò che sentiamo.
Quello che viviamo è un cerchio e la poesia
è un altro, più piccolo e affamato,
la distanza tra di essi è il naufragio.
Trent’anni dopo, continuo a pensare
che non è la poesia il più grande dei doni.
Ma, dopo tante righe e poesie,
e risme di carta che hanno alimentato
i miei cestini dei rifiuti, posso dire
che è servita a fissare le notti
e i suoi giorni, mia figlia Costanza e il mio paesaggio. Poco più.
(De Espacios en fuga. Poesía reunida 1974-2010. Editorial Pre-Textos)
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