de Olalla Castro
(trad. Marcela Filippi)
- Chi mi incolpa del canto? Loro, non io, deviano latraiettoria delle loro navi al sentirmi. Loro, non io,salirono sulle loro barche e, scuotendo le maniin aria, hanno detto addio alle loro famiglie. A voltela morte è un vento che tende le veledelle barche e trascina i relitti a riva; un'ondache culla i corpi ‒così freddi, così belli‒degli uomini.Mi hanno scritta nuda sulla roccia,metà donna e metà uccello, poi pesce, semprein attesa. Come se i morti facessero compagnia.Ma non sono qui seduta per le navi.Sono qui affinché voi capiate che spessonaufragare non significa affondare. Che ilnaufragio è ritornare: ad ogni colpo di remi,le strade di Itaca più vicine, le case di Itaca piùgrandi. Fingere che quelli che avete abbandonatosono stati ad aspettarvi, che si può tornare.Legate il vostro corpo all'albero maestro o tappatevi le orecchie,fa lo stesso. Capite che non è nata per voiquesta melodia. La chiave è nell’eco: coprirmicon esso, avvolgermi in esso, ripararmi con esso daimarinai, dai loro occhi come meduse, apertie blu. Preferirei che non aveste orecchie,preferirei che non arrivaste mai. Che mi lasciaste dasola con il mio canto ‒che è un corallo rosa, uno scoglio‒.Amo il suono che sorge dal mio stomaco e diventaaltro nella mia testa, tra le mie labbra. Amoil suono che cresce e si innalza su tutte lecose, penetrando nello stesso modo acquae pietra. Credetemi, il canto è un miracolo. Nelcanto, non c'è colpa. La colpa è in coloroche lo ascoltano.
(Del libro Las Escritas. XXI Premio de Poesía Vicente Núñez. Deputación de Cordoba Berenice, 2022)
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