de/di Santos Domínguez Ramos
(trad. Marcela Filippi)
Mientras allá abajo, en el camino, el perro que confunde el trueno de la guerra con el trueno de la tormenta sigue y sigue entablando otra guerra en la que el caballero confunde el ladrido de la muerte con el ladrido de un perro.
(Marco Denevi)
El pie lo da un grabado con torres y jacintos.
Tras siete años de guerra cayeron las banderas
igual que se rindieron los lirios asediados,
podridos por la lluvia paciente de los días,
tras un cerco tenaz de luna y torbellinos.
Y el caballero vuelve, coronado de sombras.
Viene de las regiones quemadas de la guerra,
de un tablero siniestro con sangre y con azufre.
El caballero vuelve del final de los tiempos.
No mira. Los recuerdos
le encadenan a un tiempo de incendios y celadas
que se clava en su frente como una rosa triste.
Lleva fijos los ojos en la crin del caballo.
Su carne macerada atravesó los puentes,
sintió la quemadura glacial de la derrota
que recorría su espalda con un terror de armiño
en la llanura ardiente de un ajedrez siniestro.
Desde allí el caballero contempla la espesura
fragosa de los montes, donde la noche tensa
su ballesta de hielo por las constelaciones.
Y ya no sueña nunca más que con los azores,
con corazas de fuego, con el rayo escarlata
del ejército ciego de los abismos.
Y oye el triple lamento
del águila, las brasas
que incendiaban los cuatro extremos de la tierra,
en su horizonte púrpura de alfil y apocalipsis.
Mentre laggiù, sulla strada, il cane che confonde il tuono della guerra con il tuono della tempesta continua e continua a impegnarsi in un'altra guerra in cui il cavaliere confonde l'abbaiare della morte con l'abbaiare di un cane.
(Marco Denevi)
L'appiglio lo offre un'incisione con torri e giacinti.
Dopo sette anni di guerra son cadute le bandiere
così come si sono arresi i gigli assediati,
imputriditi dalla paziente pioggia dei giorni,
dopo un accerchiamento tenace di luna e vortici.
E il cavaliere ritorna, incoronato da ombre.
Viene dalle regioni bruciate della guerra,
da una tavola sinistra con sangue e zolfo.
Il cavaliere ritorna dalla fine dei tempi.
Non guarda. I ricordi
lo incatenano a un tempo di incendi e tranelli
che gli si pianta sulla sua fronte come una rosa triste.
I suoi occhi sono fissi sulla criniera del cavallo.
La sua carne macerata ha attraversato i ponti,
ha sentito la bruciatura glaciale della sconfitta
che gli scorreva lungo la schiena con un terrore di ermellino
sulla pianura infuocata di una scacchiera sinistra.
Da lì il cavaliere contempla la macchia
insidiosa dei monti, dove la notte tende
la sua balestra di gelo attraverso le costellazioni.
E non sogna mai più che con gli astori,
con corazze di fuoco, con il raggio scarlatto
dell'esercito cieco degli abissi.
E sente il triplo lamento
dell'aquila, le braci
che incendiavano le quattro estremità della terra,
sul suo orizzonte porpora di alfiere e apocalisse.
(de Las provincias del frío, Algaida Editores 2006)